ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 22 giugno 2017

E ordinò loro di non darle da mangiare

«Era obbligo della Regione far morire Eluana»: siamo tutti colpevoli in quel risarcimento a Englaro
Englaro vince la causa contro la Regione Lombardia, condannata a pagare un risarcimento per non aver ottemperato alla sentenza che, stabilendo il distacco del sondino a Eluana, autorizzò la sua morte. Al padre andranno 133 mila euro per danni morali e per "la lesione alla dignità umana" con i sit in sotto la clinica perché per i giudici il danno più grave non è stata la sua morte, ma "la violazione della sua auto determinazione". In quel risarcimento ci sono allora anche i danni arrecati con le preghiere e le veglie dell'Italia che si oppose e si oppone ancor oggi alla cultura della morte.

Con la sentenza del Consiglio di Stato che obbliga la Regione Lombardia a pagare un risarcimento danni a Beppino Englaro, la triste vicenda di Eluana può dirsi conclusa. Un risarcimento esemplare, quantificato in 133mila euro per non aver ottemperato alla sentenza della Corte d’Appello di Milano che consentiva “lo spegnimento dei macchinari” che tenevano in vita la donna gravemente disabile ospitata per 17 anni dalle suore Misericordine di Lecco. Poco importa che Eluana fosse tenuta in vita soltanto da alimentazione e idratazione e che non ci fosse nessun macchinario a consentirle di vivere.

Il punto era proprio quello: interrompere la somministrazione dei sostegni vitali attraverso il sondino naso-gastrico. Ma per farlo bisognava trovare una clinica che ottemperasse all’ordine della magistratura, impartito nel 2009 sotto il fuoco incrociato di una polemica che aveva dilaniato in due il Paese tra favorevoli e contrari. Il presidente della Regione Lombardia di allora, Roberto Formigoni si rifiutò di prestare cliniche e ospedali lombardi per far morire Eluana.

Così il padre dovette rivolgersi alla clinica La Quiete di Udine dove il 9 febbraio cessò di vivere. Secondo Beppino, quell’estenuante braccio di ferro tra la Regione e il padre aveva provocato un danno alla figlia e a lui e alla moglie. Ragion per cui aveva intentato la strada del risarcimento in sede civile, vinto in prima istanza al Tar della Lombardia che fissò un risarcimento di 150mila euro. La Regione fece ricorso e il ricorso è stato portato avanti e condiviso anche dal nuovo governatore nel frattempo insediatosi al Pirellone, Roberto Maroni.

Ieri la sentenza del Consiglio di Stato che abbassa la cifra a 133mila euro a favore di Beppino, ma che condanna comunque l’ente.

«Non potevano sussistere seri dubbi circa la portata dell’obbligo della Regione di provvedere a fornire la necessaria prestazione sanitaria, nel rispetto dell’accertato diritto della persona assistita all’autodeterminazione terapeutica, presso una delle strutture sanitarie regionali», dice la sentenza, come se la decisione di farla morire appartenesse anch’essa all’elenco delle terapie. Un salto mortale all’indietro insomma, per giustificare la sentenza della Corte d’Appello che riconosceva nella volontà di Eluana di autodeterminarsi l’origine di tutto.
Infatti la sentenza partiva proprio dall’affermare questa intenzione di Eluana che Beppino riuscì a dimostrare: quando ancora era in vita e sana, aveva manifestato il desiderio, in caso di un incidente o una malattia, di non essere tenuta in vita artificialmente. I giudici presero per buona la tesi anche in assenza di una prova schiacciante, cioè le sue parole, ma soltanto de relato.  Quindi – prosegue ancora il dispositivo – “non poteva ragionevolmente porsi in dubbio l’obbligo della Regione di adottare tramite proprie strutture le misure corrispondenti al consenso informato espresso dalla persona”.

Secondo i giudici la Lombardia era dunque “tenuta a continuare a fornirle la propria prestazione sanitaria, anche se in modo diverso rispetto al passato, dando doverosa attuazione alla volontà espressa dalla stessa persona assistita”.

Con questa sentenza il Consiglio di Stato si prende la colossale responsabilità di definire il distacco di un sondino naso-gastrico indispensabile per rimanere in vita una “prestazione sanitaria diversa rispetto al passato”, o diversa rispetto a quello che siamo abituati a pensare, cioè che mai una terapia, una prestazione sanitaria devono portare alla morte, ma semmai devono cercare di fare di tutto per evitarla.

Merito di un complesso di concezioni dell’essere umano ormai in balia dell’ideologia dell’autodeterminazione, di fronte alle quali anche i giudici hanno mostrato di accodarsi. Con la legge sul testamento biologico Regioni e ospedali sono avvertiti: il vostro compito è quello dei sicari a comando, guai a chi sgarra. 

Il risarcimento riconosciuto a Englaro riguarda anche le spese di piantonamento fisso della struttura dove Eluana morì, per far fronte alla "presenza di telecamere e giornalisti", ai "sit-in sotto la clinica" alla possibile presenza di "facinorosi", con il "conseguente rischio di lesione del diritto al rispetto della dignità umana".

Infatti i giudici dicono che Eluana ha "subito" in questa vicenda il "danno più grave", la "violazione del proprio diritto all'autodeterminazione in materia di cure" per cui "contro la sua volontà" ha subito "il non voluto prolungamento della sua condizione, essendo stata calpestata la sua determinazione di rifiutare una condizione di vita ritenuta non dignitosa, in base alla libera valutazione da essa compiuta".

Quanti colpevoli assieme a Formigoni dunque, di aver recato danni morali: i giornali che ne scrissero portando motivazioni che contrastassero la cultura della morte che si stava affermando in Italia e oggi è ormai comodamente in trono; i militanti pro life che pregarono e vegliarono in quei giorni drammatici; i politici che si adoperarono per impedire il primo caso di eutanasia in Italia; tutti gli uomini di buona volontà che provarono ad opporsi con i mezzi consentiti dalla legge e dal dibattito democratico all’immane tragedia di una donna disabile portata a morire. Tutti colpevoli, infatti a risarcire è un ente pubblico che userà i soldi dei contribuenti, cioè di tutti noi. In quel risarcimento ci saranno anche i nostri soldi e le nostre lacrime spese.

Siamo al paradosso: la dignità umana calpestata non è quella di un essere umano strappato a forza dalle cure premurose delle suore Misericordine per essere condotto alla morte, ma il “disagio” subito da lei e dai familiari per una vicenda che se non ci fosse stata l’opposizione della Regione, del governo Berlusconi di allora e delle suore Misericordine, si sarebbe potuta concludere ben prima, senza scomodare così tanto l’opinione pubblica e senza arrecare stress agli attori della partita.

E noi che pensavamo che il danno più grave l’avesse subito Eluana quando è stata portata a morire da una sentenza della magistratura.
di Andrea Zambrano22-06-2017
Corte inglese minaccia la Cedu: "Fai come diciamo noi"
I giudici britannici non nascondono fastidio nel dover rimandare l’interruzione delle cure, usando come paravento l’ipocrisia del “miglior interesse” per Charlie. Poi fanno pressioni sulla Cedu che dovrà decidere sul suo destino: "Ci sentiremmo in serissima difficoltà se ci fosse chiesto di agire ancora contro i migliori interessi di Charlie ordinando una più lunga estensione del rinvio".

Abbiamo già accennato al rischio che il Regno Unito non rispetti un’eventuale decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) favorevole al piccolo Charlie Gard e al suo diritto alla vita. Questo rischio trova conferma, almeno implicitamente, nel verdetto di cinque pagine pubblicato dalla Corte Suprema britannica subito dopo il comunicato diffuso nella serata di lunedì 19 dalla Cedu, che aveva nel frattempo chiesto a Londra di mantenere il supporto vitale in attesa di decidere sul ricorso presentato dai genitori del bimbo. Un ricorso che i giudici di Strasburgo hanno assicurato che valuteranno “con la massima urgenza”, senza tuttavia specificare una data precisa. Il riferimento alle “tre settimane” di proroga delle cure è invece contenuto nel verdetto della Corte Suprema, conseguente all’udienza procedurale di giorno 19.
In sostanza, in quelle cinque pagine, i giudici britannici faticano a nascondere il loro fastidio nel dover rimandare l’interruzione delle cure, usando come paravento l’ipocrisia del “miglior interesse” per il bambino, che secondo loro e i medici del Great Ormond Street Hospital consisterebbe nel dare a Charlie una morte certa anziché garantirgli le cure necessarie a vivere e tentare un trattamento sperimentale. “Garantendo un rinvio – si legge al punto 17 della decisione –, anche se di breve durata, noi saremmo in un certo senso complici nell’ordinare una linea d’azione che è contraria ai migliori interessi di Charlie”. Stessa ipocrisia poche righe prima, dove si legge che il tutore del bambino, cioè colui al quale la giustizia britannica ha affidato la tutela legale di Charlie strappandola arbitrariamente ai suoi genitori, afferma “con evidente riluttanza e dispiacere, che è arrivato il tempo per la corte di rifiutare un ulteriore rinvio [della sospensione delle cure] e permettergli così […] di spegnersi”, con tanto di eufemismo finale al posto del verbo “morire”.
Al punto 20 del verdetto, c’è poi la parte dove risultano più evidenti le pressioni dei giudici britannici sulla Cedu. Ordinano infatti di prorogare le cure di altre tre settimane, e precisamente fino alla mezzanotte tra il 10 e l’11 luglio, ma specificano di farlo “con notevole riluttanza”. E aggiungono: “Incoraggiamo rispettosamente i nostri colleghi della Cedu a fare qualsiasi cosa in loro potere per affrontare il ricorso entro quella data. […] ci sentiremmo in serissima difficoltà se ci fosse chiesto di agire ancora contro i migliori interessi di Charlie ordinando una perfino più lunga estensione del rinvio”, cioè un prolungamento delle cure. Non ci vuole molto a tradurre queste parole di Lady Hale, Lord Kerr e Lord Wilson, che in pratica dicono ai loro colleghi di Strasburgo: “Decidete in fretta e vedete di decidere come noi, perché far morire Charlie è l’unica soluzione. Altrimenti siete cattivi”. Il male scambiato per il bene, da imporre a tutti i costi. E pazienza se qui, oltre al diritto naturale che è baluardo della convivenza umana, si sta calpestando lo stesso diritto positivo, visto che il Regno Unito è tra i firmatari della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Come ha fatto notare anche Richard Gordon, legale dei genitori di Charlie, i medici e i giudici britannici stanno violando quella Convenzione in riferimento all’articolo 2 (diritto alla vita), 5 (diritto alla libertà) e 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare).
Come si può arrivare a tanto cinismo? A costo di essere ripetitivi, va ricordato che questa situazione da incubo, in cui uno Stato mette da parte i genitori e cerca di imporre l’uccisione di un bambino, è conseguenza diretta di decenni di propaganda della cultura dello scarto, che ha diffuso in tutto l’Occidente prima le leggi sull’aborto e negli ultimi tempi quelle sull’eutanasia, che molti nostri parlamentari vogliono importare in Italia con il ddl sulle Dat (disposizioni anticipate di trattamento). Negando che la vita sia sempre sacra, si è prima introdotta la libertà di eliminare il bambino non voluto e adesso, abbattuti pressoché tutti i limiti morali nel segno diabolico del “tutto è lecito”, si sta scivolando verso l’obbligo di uccidere l’imperfetto, in una vera e propria selezione della specie dove sono tribunali e medici a stabilire – da padroni della vita – chi è degno di vivere e chi no. Si tratti di un bimbo di dieci mesi, di un disabile o un anziano. La chiamano autodeterminazione.
di Ermes Dovico22-06-2017

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.