ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 6 dicembre 2017

E voi, chi dite che io sia?


E NON C'INDURRE IN TENTAZIONE


Il Padre nostro è l’unica preghiera che è stata insegnata ai suoi discepoli direttamente da Gesù mettere in dubbio l’esattezza di quelle parole equivale a mettere in dubbio che noi sappiamo quali siano state le Parole di Gesù 
di Francesco Lamendola   


 

Tutti noi, nati nell’Europa cristiana, generazione dopo generazione, da secoli e secoli ripetiamo, con le parole del Padre nostro, quali ci sono state riportate dai Vangeli, la formula finale: … e non c’indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Amen, che viene dal greco:kai mē eisenenkēs hēmas eis peirasmon, alla rhusai hēmas apo tou ponērou, e che in latino viene reso con: et ne nos inducas in tentationem; sed libera nos a malo. Ci eravamo già occupati, meno di un mese fa, di questa traduzione, e del supposto problema che essa solleva in certe persone ipersensibili (cfr. l’articolo Non c’indurre in tentazione, pubblicato l’11/10/2017 sul sito Nuova Italia. Accademia Adriatica di Filosofia); ma ora siamo costretti a tornarvi sopra, visto che il papa in persona ha deciso di scendere in campo, oggi, mercoledì 6 dicembre 2017, con tutta la sua forza mediatica, parlando dai microfoni di una rete televisiva.

La sede nella Gerusalemme terrestre


“GERUSALEMME CAPITALE “



San Gregorio Magno (Comm. In I reg., II): “Coloro che ricusarono di credere al Redentore si  daranno poi, alla fine del mondo, all’Anticristo”.
“Costui – ha scritto Sant’Efrem Siro (Sermo de Antichristo)    – colmerà certo di favori in modo speciale la nazione giudaica, ma bisogna convenire che onori più  straordinari gli prodigherà questa nazione deicida, la cui capitale sarà quella del suo regno”.
Sant’Ireneo (Adversus Haereses, Libr. V c. XXV) : “L’Anticristo,giunto all’impero universale, trasferirà la  sede nella  Gerusalemme terrestre”.

Ora non si può lasciare spazio a dubbi?

RIVOLTA INAUDITA

Il Papa e lo scisma, mai accaduto prima. Il cardinale Burke: "No allo Ius soli, cosa succederà all'Italia"


Il cardinale americano Raymond Leo Burke guida la rivolta contro Papa Francesco su ius soli, immigrati e accoglienza. Mai, in epoca moderna, i vertici della Chiesa si sono schierati tanto numerosi in aperta critica con la dottrina e la linea socio-politica del Pontefice. Burke è uno dei firmatari dei dubiasull'esortazione Amoris Laetitia del Papa. Sotto accusa il terzomondismo e le troppe aperture al laicismo promosse da Bergoglio. Il Cardinale Gerhard Mueller è arrivato addirittura a minacciare uno scisma nella Chiesa cattolica. "Il pericolo c'è sempre quando aumenta la confusione ed è evitabile proprio attraverso la presentazione della fede in modo chiaro - spiega monsignor Burke al Giornale -. A un anno di distanza, dato che il Papa non ha ancora risposto, credo si possa interpretare il silenzio, e anche il non riscontro del ricevimento delle nostre comunicazioni, come un segno che il Papa in qualche modo non riconosce questi interventi come meritevoli e legittimi".

La granitica convinzione

Una nuova narrazione?


Il Professor Massimo Introvigne ha rilasciato nei giorni scorsi una lunga intervista alla rivista Formiche. È uno di quei casi strani in cui vorresti tanto che ciò che stai leggendo fosse vero, ma ti accorgi, con dispiacere, che non lo è.

L’intervista si muove in quella che è la narrativa ufficiale dell’attuale pontificato: «In parole e gesti, Papa Francesco è prima di tutto un comunicatore. Lavora di bulino sui testi della Tradizione che ha ricevuto e che è chiamato a trasmettere. Non ne cambia una virgola, ma l’incipit del suo linguaggio è differente»Le novità non vanno dunque cercate sul piano dei contenuti («I principi rimangono fermi»), ma solo su quello dello stile («comunicativo-pastorale»), del linguaggio, del tono («È cambiato il tono, e il tono per Papa Francesco è fondamentale»), dell’atteggiamento («Quello che c’è di diverso è l’atteggiamento pastorale»).

"Prima e dopo"


CHIESA E NEOCHIESA: L'ESEMPIO


L'esempio della Parrocchia di Santa Maria Immacolata a Longarone c’è un prima e un dopo. Il 9 ottobre 1963 questo ridente paese in provincia di Belluno con le sue 2.000 anime venne spazzato via da una gigantesca ondata di acqua
di Francesco Lamendola  
 
Longarone 9 ottobre 1963 e la tragedia della diga del Vajont

Siete mai stati a Longarone? Se amate le montagne, se amate il Cadore e le Dolomiti, probabilmente ci siete passati, venendo dalla pianura e risalendo l’alta valle del Piave. Sicuramente il suo nome vi dice qualcosa, specialmente se non siete proprio giovincelli: perché il 9 ottobre 1963 questo ridente paese in provincia di Belluno venne investito in pieno e travolto dalla gigantesca ondata di acqua e fango precipitata giù dalla Diga del Vajont, e provocata, a sua volta, da una frana verificatasi, in seguito alle piogge autunnali, sulle pendici del Monte Toc, in territorio friulano. L’ondata si portò via, insieme alle macerie delle case, e a centinaia di capi di bestiame, poco meno di duemila morti: 1917, per la precisione, compresi quelli delle frazioni e dei paesi vicini (i numeri, che strane coincidenze: 1917 è anche la data di una disastrosa battaglia della Prima guerra mondiale che proprio qui, a Longarone, vide la resa di quasi 10.000 soldati della Quarta armata italiana, in ritirata dal Cadore dopo lo sfondamento di Caporetto, davanti a un pugno striminzito di soldati tedeschi, comandanti da un certo tenente Erwin Rommel).

Tanto, è la stessa cosa?


VINCERE LA CONCUPISCENZA           
      

Vincere la concupiscenza è unirsi alla vita divina. Una domanda apparentemente ingenua: qual è lo scopo del Vangelo, perché Cristo lo ha annunciato agli uomini e perché la Chiesa lo annuncia a noi, generazione dopo generazione? 
di Francesco Lamendola  


 

Qual è lo scopo del Vangelo? Perché Gesù Cristo lo ha annunciato agli uomini, e perché la Chiesa lo annuncia a noi, generazione dopo generazione? Ci piacerebbe rivolgere questa pur semplicissima domanda a un certo numero di cattolici, e vedere quel che ne verrebbe fuori. Una gran confusione, probabilmente. Molti, senza dubbio, spalancherebbero gli occhi in un'espressione di stupore: a una simile domanda non avevano mai pensato. E già questo la dice lunga sullo stato d'ignoranza, inconsapevolezza, abitudinarietà e conformismo in cui la fede cattolica è caduta, nella fase storica che stiamo vivendo. Perché a questa domanda, solo apparentemente ingenua, e, in realtà, molto più profonda di quel che non paia, ma al tempo stesso d'una semplicità disarmante, i nostri nonni avrebbero saputo rispondere senza alcuna esitazione. Non perché avessero studiato di più la dottrina cattolica - in verità, molti di loro erano onesti lavoratori con la licenza di quinta elementare per tutto curriculum scolastico - ma perché l'avevano appresa meglio. I sacerdoti, i catechisti e le famiglie l'avevano trasmessa a loro meglio di quel che non siano capaci di fare, per solito, il clero e tutto l’insieme della cultura cattolica, oggi. Senza tante chiacchiere sulla “complessità concreta” delle situazioni (come si legge nell’esortazione apostolica Amoris laetitia), sulla necessità del “discernimento spirituale”, sul dovere dell'”accompagnamento delle persone in difficoltà” (neanche la Chiesa fosse diventata un’agenzia di viaggi o un’agenzia per cuori solitari) e sulla assoluta priorità della “inclusione” dell’altro - un linguaggio fastidiosamente artificioso e pretenzioso, che tradisce da sé il sofisma di fondo che lo ha generato -, ai nostri nonni era stato insegnato che lo scopo del Vangelo è far partecipare l'uomo alla pienezza della vita divina. Tutto qui; e nient'altro. In quella espressione c'è tutto; e c'è molto di più e molto di meglio di quel che non possano impastrocchiare tutti i Kasper, i Sosa, i Grillo e i Bianchi di questo mondo (di questo mondo, nel significato letterale dell'espressione, ossia di teologi che non aiutano le anime a levare lo sguardo verso il Cielo, ma lo tengono rivolto ostinatamente a terra).

Sua Santità Mahatma Gandhi



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ROMANA VULNERATUS CURIA E I ROHYNGYA. È SBALORDITO DAL PONTEFICE: ASSOMIGLIA SEMPRE DI PIÙ A GANDHI.

Cari stilumcurialisti, Romana Vulneratus Curia (RVC per gli amici) ha qualche cosina da dire sulle dichiarazioni del Pontefice sull’aereo di ritorno dal Bangladesh. Ancora una volta – non è la prima, né, prevediamo, sarà l’ultima, il capo della Chiesa cattolica ha parlato di terrorismo e religioni, con queste parole: “C’erano gruppi terroristi che cercavano di approfittare dei Rohingya, che sono gente di pace. Sempre c’è un gruppo fondamentalista nelle religioni, anche noi cattolici ne abbiamo. (sottolineatura nostra). I militari giustificano il loro intervento a motivo di questi gruppi. Io non ho scelto di parlare con questa gente, ma con le vittime, con il popolo che da una parte soffriva questa discriminazione e dall’altra era difeso dai terroristi”. Non osiamo pensare quali “estremisti” pensi il Pontefice. Sospettiamo fortemente però che siano quelli che invece  di usare il mitra sgranano rosari ultimo modello, di fabbricazione israeliana, senza rinculo. Pericolosissimi.

Domande volutamente retoriche?

VIENNA
Orgoglio gay occupa la Cattedrale, la scusa è l'Aids

Venerdì scorso nella Cattedrale di Santo Stefano a Vienna èandata in scena una commemorazione per le vittime dell’AIDS, in occasione della Giornata Mondiale contro l’AIDS, commemorazione ovviamente interconfessionale voluta dal Cardinal Christoph Schönborn ed organizzata in collaborazione con l’associazione AIDS Life.  Sulla opportunità di (ab)usare di un edificio sacro per eventi di impronta laica, seppur animati da ottime intenzioni, rimandiamo all’articolo di Andrea Zambrano.

Qui invece vogliamo mettere sotto la lente di ingrandimento da una parte la (voluta?) miopia di interpretare il fenomeno AIDS a senso unico e su altro fronte la decisione di far leggere una preghiera di intercessione al travestito-transessuale-transgender Conchita Wurst.

In merito al primo aspetto il cardinal Schönborn ha ricordato che si muore soprattutto nella poverissima Africa e lui, quando è stato in Zambia, lo ha potuto toccare con mano. Questo è vero ed è bene rammentarlo, ma perché far credere che la diffusione dell’AIDS sia solo una questione di mala distribuzione della ricchezza e non anche e soprattutto di condotte personali? Perchè tacere sul fatto che il gruppo sociale che registra il maggior numero di contagi è quello omosessuale? Sarebbe stato scomodo? Poco gaiamente corretto? Sarebbe stato percepito come un’affermazione discriminatoria?

Ma se la realtà è questa perché non raccontarla? Già su queste colonne abbiamo illustrato pochi giorni fa che sono le persone omosessuali ad essere più esposte a rischio di contagio, riportando i dati per l’Italia e la Spagna. Così avviene anche negli Usa dove uno studio del 2013 del Centro per la prevenzione e il controllo della patologie ci informa che il 57% delle infezioni da AIDS colpisce le persone omosessuali. E queste sono solo il 2% della popolazione. Ciò a voler dire che la maggior parte delle infezioni riguarda uno sparuto gruppo sociale. Questo non dovrebbe forse far consigliare, solo sotto il profilo della tutela della salute pubblica senza chiamare in causa principi morali, l’abbandono delle condotte omosessuali? Come esistono le campagne sociali contro il fumo e quindi contro la libertà di fumare, perché non promuoverne di simili anche contro l’omosessualità e dunque contro la libertà di avere rapporti omosessuali? Domande volutamente retoriche.

Venerdì – e così arriviamo al secondo aspetto che vogliamo qui esaminare – non si è messo in guardia gli astanti sui pericoli che i rapporti sessuali omosessuali possono provocare per la salute del corpo (figurarsi se si voleva accennare a quelli per la salute eterna). Invece si è celebrato l’orgoglio gay e pure in una cattedrale cattolica. Quindi indirettamente e per paradosso è stata fornita una sponda per la diffusione del virus. Schönborn infatti ha detto ai presenti riferendosi sia ai malati di AIDS che alle persone omosessuali: “Dio non vuole giudicare le persone, ma salvarle. Che cosa significa per noi? Non giudicare, non escludere”.

Due noticine veloci veloci. A parte il fatto che Dio è anche giudice, è bene rammentare che la salvezza non passa attraverso l’adesione volontaria all’omosessualità, ma attraverso l’abbandono delle pratiche omosessuali. Noi tutti non dobbiamo permetterci di giudicare la responsabilità soggettiva delle persona omosessuale, ma dobbiamo eccome giudicare la sua condotta, non per metterlo al muro, ma per aiutarlo ad abbandonare questo stile di vita.

Il cardinale non è su questa frequenza d’onda tanto è vero che ha chiamato per pianificare l’evento in cattedrale Gery Keszler, fondatore insieme al suo compagno Torgom Petrosian, dell’associazione AIDS Life che ogni anno organizza il Life-Ball, una serata di gala per raccogliere fondi per la lotta all’AIDS. Anche questa scelta è poco opportuna, data la presenza di realtà cattoliche austriache anch’esse impegnate sullo stesso tema, ma non così compromesse con il credo gay. Ma ancor meno opportuna è stata la scelta di chiamare a leggere una preghiera di intercessione il cantante nonché travestito Thomas Nuewirth, in arte Conchita Wurst, il quale aveva già ricevuto nel maggio del 2014 la benedizione del cardinale. Nel “giardino variopinto del Signore c’è spazio per tutte le moltitudini” aveva scritto allora il cardinale riferendosi a Conchita, tanto per dire che la transessualità può essere interpretata come naturale variante botanica-antropologica voluta da Dio.

Il barbuto Conchita dall’ambone ha così “pregato” quasi storpiando il Padre Nostro: “Dacci un occhio attento, non solo qui, ma anche in tutti gli altri luoghi affinchè possiamo comprendere veramente il mondo e la sua gente e così che tu ci possa aiutare a superare tutte le esclusioni, le discriminazioni ed evitare la persecuzione di coloro che vivono la loro identità in modo diverso. Cerchiamo di prendere consapevolezza di tutto questo ed aiutiamo coloro che sono diversi da noi stessi". Un mega spot ecclesiale a favore dell’omosessualità e della transessualità. Un caso di scuola di omoeresia. Tra l’altro viene da chiedersi cosa c’entri mai la supposta discriminazione a danno delle persone omo e trans con la diffusione dell’AIDS. Ma ogni occasione è buona per dipingere i gay come vittime e i cattolici come carnefici. Infatti l’evento in cattedrale a tratti pareva più una richiesta di scuse da parte dei cattolici che una serata di sensibilizzazione delle coscienze.

L’errore forse più marchiano è stato dunque quello di chiamare un transessuale a recitare una preghiera gender, non una persona che, come tutti noi, cade mille volte nella polvere del peccato, si riconosce peccatore e vuole rialzarsi, bensì un attivista che eleva a stendardo il peccato dell’omosessualità. C’è quindi una grossa differenza tra accoglienza della persona, Conchita incluso, ad accoglienza degli errori che professa la persona.

Ma la cattedrale di Santo Stefano rimane pur sempre la casa del Signore e il Padrone di casa, seppur in modo discreto, ha detto la sua per il tramite del genio di Mozart. Infatti in quella serata è stato eseguito il suo Requiem. Ecco ad esempio il testo del Dies irae ispirato al giorno del Giudizio: “Giorno d'ira, quel giorno distruggerà il mondo in faville, com'è attestato da Davide e dalla Sibilla. Quanto grande sarà il terrore quando verrà il giudice a valutare ogni cosa severamente”. Un testo un tantino rigido secondo i canoni ecclesiali attuali. Assai poco buonista anche il Tuba mirum: “Una tromba, con un suono mai prima udito tra i sepolcri delle nazioni tutti sospingerà davanti al trono. Stupefatte saranno Morte e Natura quando ogni creatura risorgerà per rispondere a colui che giudica. Sarà portato un libro scritto in cui tutto è annotato per giudicare il mondo. Quando il giudice si sarà assiso tutto ciò che era nascosto apparirà e nulla resterà impunito. Che dirò allora io, misero? A quale avvocato mi appellerò se a mala pena il giusto è sicuro?”. E per chiudere il ben poco inclusivo Confutatis: “Confutati i maledetti e condannati alle fiamme ardenti, chiamami tra i benedetti. Ti prego, supplicando e prostrandomi, il cuore ridotto quasi in cenere, prenditi cura della mia fine”.

Tommaso Scandroglio


  • LA CAMPAGNA DELLA NUOVA BQ

#salviamolechiese anche dalle paraliturgie omoeretiche

Il cardinale Schonborn
D’accordo. Una veglia di preghiera non è una partita di tennis, ma visto quanto successo a Vienna, dove una veglia di preghiera si può trasformare in un happeningche non ha nulla a che vedere con il culto reso a Dio fino a diventare una provocazione in salsa omoeretica, possiamo invocare il nostro hastag #salviamolechiese. E’ per questo motivo che anche per l’evento di Santo Stefano si può intravedere un uso misto tra sacro e profano che di fatto riduce l’edificio chiesa a semplice contenitore di un evento mondano e poco più.
A cominciare dall’ambientazione:sul soffitto della navata centrale della Cattedrale di Vienna sono stati installati dei grandi pannelli con i nomi di diverse vittime dell’Aids. Intenzione lodevole, ma presentata a mo’ di manifesto fine a se stesso, sicuramente dall’intento rivendicativo e ideologico. In chiesa infatti la veglia è consistita con l’esecuzione del Requiem di Mozart, l’austriaco più celebre cui il cardinal Schonborn ha fatto spesso riferimento nel suo intervento e che moriva giusto ieri 217 anni fa. Poi è seguito un evento di lumini e canti “a battimani” misto tra la paraliturgia e la rivendicazione dell’orgoglio gay con proclami e qua e là qualche generica preghiera.
Tutto troppo confuso per chi vuole davvero pregare per le vittime dell’Aids.Nessuno giudica le intenzioni, ma sullo strumento utilizzato si può esprimere un giudizio netto, soprattutto perché non appartiene alla mens della Chiesa. La quale Chiesa da sempre, ritiene un suo dovere quello di pregare per i defunti, perché siano accolti tra le braccia del Salvatore. Ebbene: l’evento per eccellenza che si deve fare dentro una chiesa per i defunti è proprio la messa applicata per loro, indipendentemente dalla loro storia o dall’esito della loro vita terrena. E’ il regalo più bello e potente che Cristo ha lasciato per associarsi a lui.
Una messa dunque con la quale offrire il sacrificio perfetto per le anime che ci hanno preceduto nell’eternità e alle quali, grazie alle nostre messe in loro memoria, possiamo accorciare il tempo di permanenza in Purgatorio. E’ una verità della Chiesa che “disintegra” tutti i lumini accesi e le tante parole umane spese.
Conchita Wurst in CattedraleInvece la coreografia andata in scena a il 1 dicembre nella capitale austriaca è il risultato di una liturgia umana che ha escluso completamente Dio, la sua misericordia accompagnata al suo giudizio sulle vicende umane. Ne è una prova proprio l’utilizzo del Requiem di Mozart. Capolavoro indiscusso del maestro di Salisburgo, ma ormai cristallizzato in una bella teca che lo ha trasformato in un semplice concerto, svuotato della sua forza liturgica. Un capolavoro, ma le cui ali sono state tagliate. Invece il Requiem non è un semplice accompagnamento, ma è messa. Messa cantata, come si fa ancora secondo la forma straordinaria del Rito Romano. 
La messa da Requiem si chiama così dalla prima parola dell'antifona di introito Requiem aeternam. Dunque è musica liturgica, che nasce per la liturgia dei defunti, che nelle antifone e nei testi contenuti nel Messale trova il suo spazio e la sua dignità. Tanto più che il testo che accompagna il capolavoro di Mozart, come gli altrettanti capolavori di Verdi o di Perosi, è quello delle parti della messa, dall'introito al Communio e comprende la celebre sequenza che inizia proprio con le parole Dies Irae e prosegue con il Tuba mirum e il Lacrimosa dopo essere passata per il Confutatis maledictis. Insomma: musica e testi per la liturgia della messa dei defunti, che acquisiscono il loro valore extramusicale proprio all’interno del rito liturgico, fonte e culmine della vita cristiana.
Suonarlo a margine un evento tanto ambiguo quanto fortemente mondanizzato e svuotarlo dunque del suo contesto rappresentato dall’evento del calvario che si rivive, rappresenta lo specchio dei tempi: la confusione fra pastoralità e dottrina che si serve di un simulacro bello e affascinante, ma svuotato del suo significato o che comunque non riesce ad esprimersi al meglio per quello che è il suo scopo perché l’oggetto della lode e della preghiera non è contemplato. 
Questo utilizzo della messa in versione concertistica è un limitarne e coglierne solo l'aspetto esteriore ed estetizzante senza voler aprofondire o essere toccati dal suo conteuto e dal suo significato. E' come chi si ferma all'esteriorità di una celebrazione particolarmente appariscente o suggestiva senza capire quello che è il significato del Santo sacrificio che si riprone in maniera incruenta. Volerla vivere così è ridurre a un mero estetismo, lo stesso estetismo di cui si accusa ingiustamente i tradizionalisti attaccati alla forma straordinaria della messa. Per i profani: è uno scartare l'invlucro e non gustare il cioccolatino. 
E questo è tanto più sentito nella messa da Requiem dove il tema del peccato e della misericordia sono giocati in un dialogo drammatico e salvifico del peccatore che si vergogna della sua colpa tanto da tremare e diventare rosso di fronte al Dio. E che cosa c'è che fa vergognare di più l'uomo se non il peccato di sodomia? Utilizzare quella messa per sostenere una lotta politica secondo il consumato canovaccio dei Live Aid non soltanto significa non aver capito il signifcato della Messa da Requiem, ma è un profanare ancora una volta le cose sacre.
Andrea Zambrano

martedì 5 dicembre 2017

“Stanchi di udire la solita dottrina”?

Natale cristiano scimmiottato: è la pubblicità, bellezza

Ci hanno provato in tutti i modi: trasformandola nella festa della luce e dei colori, in quella dei buoni sentimenti, sostituendo le immagini sacre con idoli pagani e commerciali. Ma alla fine tornano sempre lì: all’iconografia che fa del Natale il Natale: quella cristiana. Solo che il messaggio che deve passare è quello esclusivamente commerciale e non certo quello dell’Incarnazione, ergo per pubblicizzare un qualunque prodotto si torna alla tradizione cristiana, ma questa deve essere alterata chimicamente dagli sbuffi del consumismo.
Arriva il Natale e il mondo dell’advertising si deve organizzare per renderlo appetibile a tutti. Con le fredde immagini che alludono al Natale come a qualcosa di lontano dal sentimento popolare non deve essere andata bene. Perché il cuore dell’uomo, reconditamente, a Natale cerca un anelito di divino anche mentre compra una cintura.

Et ne eum inducas in tentationem?

Papa Francesco non ha dubbi: "Il 'Padre Nostro' è sbagliato, Dio non induce in tentazione. Casomai, è Satana"

Ospite di Tv2000, il Pontefice spiega: "È l'uomo a cadere, non Dio che mi butta nella tentazione. Quello, casomai, è Satana"


È la più conosciuta e diffusa delle preghiere cristiane, quella che, secondo il Vangelo di Luca (11,1), fu insegnata da Gesù stesso ai suoi discepoli che gli chiedevano come dovessero pregare. Eppure, a duemila anni di distanza, la sua versione è ancora controversa. E ora a dirlo è persino il Papa in persona.

Viaggia che ti passa?

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Ma perché Pietro viaggia?

    Da poco rientrato dal Myanmar e dal Bangladesh, ripenso ad alcune delle risposte date dal papa in aereo, sul volo di ritorno. E, per quanto mi sforzi, non riesco a respingere alcune perplessità.
La prima è sotto forma di domanda: ma perché il papa è andato nel Myanmar e nel Bangladesh?
Il quesito non sembri peregrino. Da quando i successori di Pietro si sono messi a viaggiare, lo scopo principale delle loro trasferte è sempre stato uno solo: confermare i fratelli nella fede, e soprattutto i fratelli più lontani e più soli, quelli che vivono in mondi e contesti nei quali l’appartenere alla Santa Romana Chiesa fa di te il rappresentante di una sparuta minoranza, non di rado perseguitata. Tuttavia alcune affermazioni fatte da Francesco sull’aereo lasciano pensare che Bergoglio questa volta abbia viaggiato per altri motivi.

Quel che conta sono le buone intenzioni?


SOTTOMETTETEVI A DIO !          
           

Sottomettetevi a Dio resistete al diavolo non sapete che amare il mondo è odiare Dio? Amoris laetitia: preferiremmo 100 volte esser noi anatema per la Chiesa di Gesù che prendere atto di quel che ha scritto il papa di suo pugno 
di Francesco Lamendola  

  

Per quasi duemila anni, la Chiesa, pur tra molte difficoltà e cadute, pur nella indegnità personale di molti suoi membri e perfino di alcuni pontefici, non ha mai perso la bussola della vera dottrina; il Magistero non ha mai fallito; il Deposito della fede è sempre stato ben custodito, e nessuno, neppure un Alessandro VI Borgia, forse il più corrotto, il più moralmente esecrabile dei successori di san Pietro, ha mai ardito modificarlo o stravolgerlo.
E la predicazione della Chiesa, l’insegnamento della Chiesa, per quasi duemila anni, sono stati sempre gli stessi: Sottomettetevi a Dio, resistete al diavolo; in altre parole, lo sforzo verso la santificazione e la costante richiesta d’aiuto per ricevere la grazia divina, che si ottiene mediante l’annullamento della propria volontà, delle proprie passioni, del proprio io. Questa è sempre stata la via maestra per giungere a Cristo; e questo è stato, costantemente, il modello al quale si sono ispirati i Santi nel corso della storia. E giova ricordare che nessuno nasce già santo; santi si diventa; e si diventa tali facendo quel che ora si è detto: spogliandosi del proprio io e facendosi tutto a Gesù Cristo, donandosi totalmente a Lui.